All’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles grande successo per "L’arte triestina al femminile nel ‘900 d’avanguardia italiano ed europeo"
Ampio risalto da parte della stampa belga alla mostra “L’arte triestina al femminile nel ‘900 d’avanguardia italiano ed europeo” aperta fino al 2 agosto all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles: un seguito agli antichi legami tra Trieste e la capitale belga.
In vista dell’approssimarsi della chiusura della mostra “L’arte triestina al femminile nel ‘900 d’avanguardia italiano ed europeo”, ideata e curata da Marianna Accerboni, un numero crescente di visitatori accede quotidianamente all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, dove la rassegna è stata prorogata, dato il largo consenso di pubblico e di critica, fino al 2 agosto.
Ampio risalto è stato per altro dato da parte della stampa belga all’evento espositivo: tra gli altri, “La Libre Belgique”, il più importante e storico quotidiano belga in lingua francese, fondato nel 1883, ha dedicato all’esposizione, visitata e apprezzata finora da un ampio pubblico internazionale, un’intera pagina con un articolo molto approfondito e sensibile di Aurore Vaucelle, nota e brillante giornalista del settore cultura del quotidiano belga e fondatrice e conduttrice di “La Libre Explore”, sezione storico-culturale che accompagna i lettori in un viaggio di reportage e di approfondimento.
Traendo spunto dalla mostra, che racconta l’avanguardia delle donne triestine nella vita e nell’arte attraverso cinque artiste iconiche (Leonor Fini, Maria Lupieri, Maria Melan, Anita Pittoni, Miela Reina), Vaucelle traccia con maestria un ritratto inedito del milieu culturale triestino della prima metà del ‘900, costellato di personaggi d’eccezione, tra cui Joyce, Svevo e Saba, Leo Castelli, Gillo Dorfles, Bobi Bazlen. Che sarebbero divenuti noti a livello internazionale e che permearono di sé l’ambiente culturale triestino dell’epoca frequentato assiduamente dalle cinque artiste. Un milieu, nel cui controluce s’intravvedeva anche la figura dello psicanalista triestino Edoardo Weiss, allievo di Freud, che attraverso Trieste traghettò la psicanalisi in Italia.
Il fascino glamour di cui attualmente gode Trieste – “La città celeste” descritta dallo scrittore Diego Marani, da poco riscoperta da un pubblico internazionale - proviene certamente da questo passato d’eccezione, ora noto nel cuore d’Europa, in virtù anche a questa mostra.
Oltre a testimoniare, grazie anche a vari inediti, il fascino delle più note Leonor Fini, Miela Reina e Anita Pittoni, la rassegna ha anche riscoperto due artiste giuliane oggi dimenticate: Maria Luperi e Maria Melan. La prima fu molto amica di Gillo Dorfles e della moglie Lalla, apprezzatissima dal grande critico triestino per la sua poliedrica e raffinata sperimentazione d’avanguardia in pittura, design per teatro e moda, nella scrittura e per l’intuizione magica ed esoterica insita in molte sue opere. La Melan, laureata in Architettura a Venezia nel ’45 con il rettore Giuseppe Samonà, uno dei maggiori architetti e urbanisti dell’epoca, del quale fu assistente, e collaboratrice del grande architetto Carlo Scarpa, si dedicò con armonica finezza alla progettazione architettonica e grafica e alla pittura e fu cofondatrice del Gruppo Immagine e del MiniMu - Museo dei Bambini di Trieste.
E vanno pure ricordati gli antichi e forti legami che sussistono fra Bruxelles e Trieste. La capitale belga, considerata nell’Ottocento la più bella città d’Europa in virtù dell’eleganza dei suoi edifici, dovuta anche ai ricchi proventi derivanti dalle miniere del Congo, fu meta di studio e di lavoro da parte di vari artisti di Trieste e dei territori limitrofi. Tra questi, per esempio, Edmondo Passauro (Trieste 1893 – 1969), ritrattista, pittore di figura e maestro di Leonor Fini, che influenzò molto la pittrice nell’ispirazione e nello stile almeno finchè lei partì per Parigi. Nel 1930 Passauro si trasferì a Bruxelles, apprezzato e richiesto soprattutto dall’aristocrazia belga e dalla ricca borghesia europea.
E anche il grande pittore Cesare Dell’Acqua (Pirano d’Istria, allora Impero asburgico, oggi Slovenia, 1821 – Bruxelles 1905), cantore attraverso le sue opere dei fasti storico-economici di Trieste, si trasferì nel 1848 nella capitale belga, dove frequentò lo studio del noto artista Louis Gallait, raggiungendo presto largo successo e fama. Tant’è che il dipinto di Dell’Acqua intitolato “Marinai di diverse nazioni nel porto di Trieste" e altri suoi lavori di tema triestino furono acquistati da re del Belgio al salone della Società belga degli acquerellisti e sono tuttora conservate nelle Collezioni Reali di Bruxelles, a testimonianza dell’interesse della casa regnante per Trieste. In particolare un acquerello di grandi dimensioni di Dell’Acqua, dedicato al circo, troneggiava nella stanza da letto della regina Astrid.
Inoltre la principessa Carlotta del Belgio (Laeken, 1840 – Meise, 1927), unica figlia di re Leopoldo I, sposò l’arciduca Massimiliano d’Austria, fratello dell’imperatore d’Austria e Ungheria Francesco Giuseppe, e venne ad abitare a Trieste (allora appartenente all’Impero asburgico) prima nel Castelletto e poi nel romantico Castello di Miramare, che il consorte aveva fatto erigere per loro. La coppia vi risiedette per alcuni anni fino alla partenza per il Messico, dove Massimiliano sarebbe divenuto imperatore e poi fucilato. E già prima della sua morte Carlotta era ritornata a vivere al Castello di Miramare o meglio isolata nel Castelletto del parco.
A tal proposito alcuni anni fa la Fondazione Roi Baudouin organizzò al Museo Belvue della capitale belga con il Circolo di Bruxelles dell’Associazione Giuliani nel Mondo, allora presieduto da Flavio Tossi, e la cura di Rossella Fabiani, un’importante mostra dedicata a Carlotta e ai suoi dipinti (prestati allora dal Museo del Castello) e accompagnata da un libro in italiano, francese e fiammingo in cui venivano ricostruiti “Gli anni della felicità” vissuti dall’arciduchessa e da Massimiliano a Miramare. Teatro nell’estate del 1867, dopo la fucilazione in Messico del marito, di aspre e lunghe trattative per la restituzione della dote di Carlotta e per il suo ritorno in patria, come racconta nel suo diario fino ad allora inedito, Adrien Goffinet, uomo di fiducia di Leopoldo II, re del Belgio e fratello della sfortunata moglie di Massimiliano. Costretta infine dalle circostanze a lasciare Trieste e il suo “nido d’amore costruito invano” (come il poeta Giosuè Carducci chiamò Miramare), Carlotta fece infatti ritorno lo stesso anno a Bruxelles, dove sarebbe rimasta per sempre.
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